Il ritorno del greco in Occidente. Libri, maestri, biblioteche
di Davide Speranzi
Il 2 agosto 1498, il bizantino Costantino Lascaris completava a Messina una copia del breve poemetto tardoantico di Colluto dedicato al rapimento di Elena di Troia, fino a quel momento pressoché sconosciuto, servendosi di un antigrafo oggi perduto, che gli era stato trasmesso da Sergio Stiso di Zollino, maestro di scuola attivo in Terra d’Otranto. Quelle poche pagine copiate da uno dei più celebri insegnanti vissuti nell’Italia del Quattrocento, ora conservate alla Biblioteca Apostolica Vaticana (Vat. gr. 1351), recano segni di piegature, come di un fascicolo che in un certo momento della sua storia sia stato allegato a una lettera, magari chiusa con un sigillo, e poi affidata a un corriere, perché arrivasse a un corrispondente, a un amico, a un sodale, altrove in Italia. Della lettera che Lascaris scrisse per accompagnare l’operetta non si è finora trovata traccia, ma non è difficile provare a indovinarne il destinatario: sui margini del Vat. gr. 1351 si individuano alcune correzioni alle cc. 2r-v, 4r, 6v che possono essere facilmente restituite alla mano di Pietro Bembo, colui che qualche anno più tardi, con le Prose della volgar lingua, avrebbe dato un contributo decisivo alla codificazione dell’italiano scritto, e che, nel 1492, insieme all’amico Angelo Gabriel, si era recato da Venezia proprio a Messina, per apprendere il greco alla scuola di Costantino Lascaris. Di lì a un paio d’anni, e per il tramite dei due giovani, a quanto pare attraverso la copia posseduta da Bembo, il Vat. gr. 1407, la grammatica greca scritta da Lascaris sarebbe stata nuovamente impressa a Venezia da Aldo Manuzio: nel 1495, gli Erotemata lascariani avevano avuto una vasta fortuna manoscritta e, primi fra tutti i testi greci, avevano già eccezionalmente goduto di una princeps, a Milano, nel 1476, per le cure del geniale cretese Demetrio Damilas, elegantissimo copista e pioniere della tipografia greca. Nelle intenzioni di Manuzio, insieme all’edizione bilingue di un altro epillio tardoantico, l’Ero e Leandro di Museo, pubblicato poco dopo, la grammatica di Lascaris doveva far da proemio a un ben più vasto programma di stampa dei testi greci, che – Aldo non poteva saperlo, forse solo sognarlo – di lì a vent’anni, sotto l’insegna dell’ancora secca, sarebbe entrato nel mito, storico, filologico, bibliofilico: al proprio pubblico, di cui non era certo semplice misurare l’estensione e che avrebbe dovuto presto acquistare i tomi degli omnia di Aristotele, Manuzio offriva una grammatica da un lato, un testo breve – ma non certo “facile”! – su cui esercitare le abilità di lettura dall’altro; uno strumento per l’apprendimento della lingua di provata efficacia, e una bella favola antica sulla quale esercitarla. [...]
The return of Greek to the West: books, teachers, libraries
On 2 August 1498, the Byzantine scholar, Constantine Lascaris, completed a copy of a late-antique poem about the abduction of Helen of Troy by Colluthus in Messina, which had been almost unknown until then. Lascaris used a now-lost manuscript given to him by Sergio Stiso of Zollino, a schoolmaster from the area of Otranto. These few pages, copied by one of the most celebrated Greek teachers of the 15th century and now preserved in the Vatican Library as Vat. gr. 1351, bear signs of folds, as if they were once attached to a letter, perhaps sealed, and then entrusted to a courier to be delivered to a friend or an associate elsewhere in Italy. The letter written by Lascaris to accompany the work has not been found, but it is not difficult to guess its recipient: some corrections on the margins of Vat. gr. 1351 (ff. 2r-v, 4r, 6v) can easily be attributed to the hand of Pietro Bembo. Bembo, who, some time later, would provide a decisive contribution to the codification of written Italian thanks to his Prose della volgar lingua, had travelled with his friend, Angelo Gabriel, from Venice to Messina in 1492 to learn Greek at Constantine Lascaris’s school. A couple of years later, in 1495, and thanks to the efforts of these two men, Lascaris’s Greek grammar was reprinted in Venice by Aldus Manutius using Bembo’s copy, now Vat. gr. 1407, as printer’s copy. By 1495 the Erotemata were already widely popular in manuscript circulation and had already been printed in 1476 in Milan thanks to Demetrius Damilas, a brilliant Cretan scribe and pioneer of Greek typography. Manutius intended to use Lascaris’s grammar, together with Musaeus’s Hero and Leander as a preface to a broad programme of Greek printing, which, under the device of the anchor and dolphin, within the next twenty years would achieve a status of historical, philological, and bibliophilic legend. The publisher chose to introduce himself to his audience, with a grammar and a short – yet by no means easy – text to practice reading skills: an effective tool to learn the language and a beautiful ancient fable on which to test their newly acquired knowledge, before he asked them to purchase his first complete edition of Aristotle in Greek. [...]